di Tiziana Pasetti (l’articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Messaggero nella mia rubrica Anno X) – Ci sono momenti e storie che vanno narrati sottovoce, ci sono gli attimi scomodi e bellissimi di un tempo che ha scosso migliaia di esistenze. Un terremoto è narrazione ardua, epica, biblica: c’è l’apocalisse e poi una strada lunga, mai rettilinea, verso una nuova genesi. Miracoli e assenze di assoluzioni, pene capitali, coriandoli che si scambiano per manna, risvegli stonati. Tante volte ci sono state albe di rimpianti, orizzonti nuovi e vuoti di forme, di ossa.
Ha la forza della folgore, la perdita di una città; ha lo sguardo di un vampiro, il sapore al fiele dei rigurgiti del passato. Ha il fascino dei luoghi di confine, dei luoghi ponte, delle trincee. È bello respirare a pieni polmoni il sottobosco, l’underground, le note rock che hanno accompagnato le nostre (r)esistenze. È liberatorio, oggi, raccontare l’energia che si sprigiona nei luoghi che cercano un nuovo equilibrio, un’energia che si scontra con la necessità del lutto, la richiesta del nero, il richiamo della morte.